Anch’egli “giovane favoloso”, un po’ Contino di Recanati e un po’ Cosimo Piovasco di Rondò, il protagonista del calviniano Barone rampante, Bartolomeo Allattati è figlio di una nobile famiglia, padrona di terre, casali e fittavoli tra Pisa e Lucca. D’infelice e fragile costituzione fisica, conduce un’esistenza appartata e dimessa, cercando di convivere con un “dono” davvero fuori dal comune, che insieme lo spaventa e lo eccita. Bartolomeo, infatti, sa volare – “se come uomo, fisicamente parlando, valgo poco, come uccellino sarei quasi perfetto” – e giustamente teme che questa sua straordinaria facoltà possa non essere compresa nell’ambiente retrogrado e reazionario che lo circonda: una madre, donna Clotilde Antichi, “avara, bigotta, dispotica e forcaiola”, due fratelli “anonimi idioti adulti”, due zie nubili “sempre indaffarate a pregare per le anime del Purgatorio”. Migliori il padre, Gastone junior, mite e ironico e apparentemente distante, e la sorella Concettina, sposata con un giornalista di origini borghesi e di convinzioni radicali. L’unico partecipe dell’eccezionale dote dell’aristocratico rampollo è Marco Lepri, figlio di contadini al servizio degli Allattati, con cui Bartolomeo condivide non poche esperienze e adolescenziali apprendistati alla vita: non ultimo, godere, entrambi e senza gelosie, dei favori amorosi della aristocratica cuginetta Ekaterina, figlia di lontani parenti russi approdati fortunosamente in Toscana a seguito degli eventi della rivoluzione d’ottobre.
Di questa complessa condizione umana apprendiamo dalle pagine di un diario segreto che il giovane conte pisano tiene dal 21 settembre 1919 al mese di maggio dell’anno successivo: due anni fondamentali nella crescita personale e umana di un ventenne di un secolo fa. Vicenda privatissima e fantastica, la sua, dove non mancano le torsioni a cui le storie individuali sono costrette dalla Grande Storia: gli echi tragici della Grande Guerra, i moti che agitano in quegli anni gli assetti fondiari delle campagne e proprietari in genere, il fascismo aurorale con il suo portato di grossolanità e violenze, i disastri del contagio della incombente pandemia di Spagnola… E particolarmente intense, ricche di pathos e di pietas, risultano le pagine del libro che l’Autore riserva agli effetti del terribile morbo epidemico che un secolo or sono colpì tutti, giovani e vecchi, ricchi e poveri, ma che si rivelò particolarmente accanito e feroce quando colpiva e scompaginava le reti familiari e sociali delle povere comunità rurali di quest’ultimo segmento della valle del Serchio.
Vessato dalla sorte, ma intimamente libero, capace più e meglio dei suoi coetanei e contemporanei di cogliere le bellezze piccole grandi della Natura e il buono della storia, per esempio l’amicizia e la solidarietà tra gli uomini pur nella palese ingiustizia dei rapporti proprietari, il Contino di Regoli e Papiana, procede a larghi passi verso il suo destino di morte: nella torrida estate del 1920 la Spagnola, di cui insieme ad altri generosi Bartolomeo aveva cercato di limitare i danni, avrà ragione anche di lui: “Da qualche ora o da qualche giorno non soffro più il caldo, sarà segno che sono sulla via della guarigione o su quella del cimitero? Non so, ma se sto per morire devo immaginarmi la mia fine: credo che, poco prima dell’appuntamento, il cuore impazzirà e dei colpi, persi nel vuoto come un’eco, squasseranno la ragnatela di un corpo senza ossa né carne… ”.
Particolarissimo e originale romanzo di formazione, il Diario segreto di Bartolomeo Allattati si avvale di un linguaggio adeguato alla condizione sociale e culturale del suo estensore-protagonista: un italiano desueto, ancora ottocentesco fitto di termini ora preziosi ora popolari e di asprezze di una sintassi in gran parte dimenticata, distribuito lungo un periodo che privilegia la metafora e l’iperbole, l’analogia e gli effetti musicali; una lingua carica di poesia e di rintocchi emotivi, che non esclude, però, il realismo proprio della polemica sociale nelle descrizioni delle misere condizioni di vita delle classi subalterne toscane. Una bella e importante prova di scrittura romanzesca che onora l’Autore e l’Editore.
Luciano Luciani